email print share on Facebook share on Twitter share on LinkedIn share on reddit pin on Pinterest

TORONTO 2019 Contemporary World Cinema

Recensione: Nobadi

di 

- Karl Markovics cerca di affrontare il tema della colpa e del rimorso attraverso il fatidico incontro tra un rifugiato e un pensionato austriaco, ma segue schemi troppo prevedibili per riuscire a lasciare il segno

Recensione: Nobadi
Heinz Trixner in Nobadi

Presentato in anteprima mondiale nell’ambito della sezione Contemporary World Cinema del Festival di Toronto, Nobadi [+leggi anche:
trailer
scheda film
]
, lungometraggio dell’attore e regista austriaco Karl Markovics, offre uno sguardo attento sulla vita di un anziano uomo dal passato burrascoso e su quella di un giovane rifugiato, intrappolato tra pregiudizio e disperazione. Sebbene Markovics si sforzi di raccontare una storia coinvolgente, il dare spazio a fin troppi punti di vista e il costante ricorso a snodi narrativi ormai abusati le fanno perdere mordente.

(L'articolo continua qui sotto - Inf. pubblicitaria)

Il film, ambientato in una piccola proprietà, si apre con una tragedia, ovvero la morte del cane dell’irascibile Heinrich Senft (Heinz Trixner). Quest’ultimo decide di seppellire l’animale nel suo giardino ma, mentre è impegnato a scavare, la sua pala si rompe. È quindi costretto a uscire per acquistare un’asta nuova. Proprio per questo motivo finisce per incontrare un giovane rifugiato afgano (Borhanulddin Hassan Zadeh, a sua volta un rifugiato arrivato in Austria nel 2012) che si fa chiamare Nobadi, un’approssimazione fonetica di Nobody (nessuno), nome che gli hanno dato al centro di accoglienza. Come veniamo a sapere più tardi, “Nessuno” era anche il soprannome del mitico Ulisse, che solcò i mari per decenni nel tentativo di fare ritorno in patria dopo la guerra di Troia. Questo richiamo preannuncia il massiccio ricorso al simbolismo che caratterizza il film.

Il giovane uomo, dall’andatura misteriosamente lenta, accetta di scavare la fossa per 3€ l’ora. Ciò che segue è la solita solfa, senza che la storia proponga nulla di nuovo. Il vecchio Senft deve fare i conti con i suoi stereotipi in una seria di confronti con il giovane, incentrati sul pregiudizio, che sanno di visto e rivisto. Non importa che si tratti di una discussione sul consumo di carne di maiale, sul telefonino di Nobadi o sul sospetto che questi abbia rubato del denaro: Markovics spunta con cura quasi tutti i classici punti che ci si aspetterebbe in una storia simile.

Proprio quando Senft comincia ad affezionarsi a Nobadi il regista cambia prospettiva, concentrandosi sulla gamba malandata del giovane afgano e sul frenetico tentativo di amputarla, evitando nel frattempo una possibile deportazione. Passando da una lezione sulla comprensione reciproca a una cruenta resa dei conti, il film manca della costruzione necessaria per introdurre in maniera efficace i temi portanti della disperazione sociale, del rimorso e del perdono. Questo passo falso è radicato per lo più nelle caratteristiche del suo protagonista. Senft passa dall’essere un uomo dalle vedute ristrette a qualcuno che è perseguitato dal senso di colpa e paralizzato dal suo bisogno di redenzione, senza che la storia abbia però costruito il percorso necessario per arrivarci.

Mentre cerca di procurarsi le medicine per l’operazione amatoriale di Nobadi, Senft arriva a degli estremi che sembrano dettati più da esigenze di copione che dal ritmo naturale della storia. Quando il ragazzo gli racconta i momenti vissuti in un campo in Afghanistan, Senft ammette, con riluttanza, che anche lui è stato guardiano in un campo. A quel punto diventa superfluo chiedersi che tipo di detenuti dovesse controllare. Oltre a sollevare una serie di interrogativi relativi a quanti anni Senft avrebbe dovuto avere nel 2019 per aver lavorato come guardia negli anni ’40, Markovics si serve di questo oscuro passato a fini provocatori per evocare specifici paralleli storici, piuttosto che andare davvero a fondo nella psiche del personaggio e implementare questa ricerca nella trama.

Diventa difficile individuare il messaggio principale del film, visto che il regista tenta di passare in rassegna l’intero spettro di sensi di colpa degli austriaci del passato e del presente. Proponendo una serie di lezioni morali e una decrescente spirale di violenza, alla fine il film non riesce a dare una sensazione di autenticità e suona più come una fiaba da manuale.

Nobadi è stato prodotto dal gruppo EPO-Film Vienna ed è venduto nel mondo dalla tedesca Beta Cinema.

(L'articolo continua qui sotto - Inf. pubblicitaria)

(Tradotto dall'inglese da Emanuele Tranchetti)

Ti è piaciuto questo articolo? Iscriviti alla nostra newsletter per ricevere altri articoli direttamente nella tua casella di posta.

Privacy Policy