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TORONTO 2019 Contemporary World Cinema

Recensione: Henry Glassie: Field Work

di 

- Il nuovo documentario del veterano regista irlandese Pat Collins dipinge, con un approccio osservativo, un ritratto unico dello studioso americano del titolo

Recensione: Henry Glassie: Field Work

Il nuovo documentario del regista irlandese Pat Collins, Henry Glassie: Field Work [+leggi anche:
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, è stato presentato nella sezione Contemporary World Cinema del Toronto International Film Festival di quest’anno. Il film segue il suo titolo di successo Song of Granite [+leggi anche:
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, un’esplorazione audace della musica e della vita del cantante folk Joe Heaney, candidato irlandese per il titolo di miglior film in lingua straniera agli Academy Awards nel 2017.

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Questo documentario è un viaggio speciale nel lavoro di ricerca condotto da Henry Glassie, uno studioso e cantante folk americano molto noto che ha viaggiato attraverso cinque continenti, ha condotto un ampio lavoro sul campo e ha pubblicato circa venti libri. In modo particolare, Glassie è interessato a studiare gli artisti folk, I loro processi creativi e naturalmente i loro meravigliosi lavori.

Il film favorisce un approccio osservativo, sapientemente intrecciato con le spiegazioni del metodo di studio di Glassie (mentre siede nella sua casa a Bloomington, nell’Indiana) e diversi e interessanti estratti di filmati di repertorio della precedente ricerca dello studioso. Vediamo, per esempio, la muratura di un imponente forno a Piedmont, nel North Carolina, e registrazioni di incontri con i tessitori di tappeti e ceramisti della Turchia occidentale, così come anche cantastorie a Collins nella sua patria irlandese. La voce di Glassie è pacata ma ferma, e il suo linguaggio è semplice e diretto: questo è decisamente un vantaggio poiché aiuta coloro che non hanno familiarità con gli argomenti presentati ad acquisire una buona conoscenza del lavoro accademico. Infatti, gli spettatori ascolteranno un placido e vecchio saggio che ha lavorato in questo ambito per oltre cinquant’anni. Ciò che merita un po’ di attenzione qui è il credo di Glassie, espresso dallo studioso stesso durante il film: lui ama “incontrare le persone nella loro eccellenza, piuttosto che nei loro fallimenti”. Come una filosofia, egli crede, che ciò possa rendere il mondo un posto migliore.

Mentre la testimonianza di Glassie è utile in termini di approfondimento delle particolarità del suo lavoro di ricerca e del suo credo, la videocamera di Colm Hogan segue con passione la nascita di diverse opere d’arte: a Bahia, in Brasile, ad esempio, osserviamo Evidal Rosas (il cui compito è quello di ricostruire statue sacre di cui non è rimasta alcuna traccia) e Rosalvo Santana, che scolpisce meticolosamente un santo affiancato da cherubini di terracotta. Osservando il loro istinto artistico e il loro processo creativo per un periodo di tempo relativamente lungo sullo schermo, agli spettatori viene data l’opportunità di provare direttamente un assaggio dell’approccio di ricerca di Henry Glassie, dove il tempo e lo spazio tradizionale sono “congelati” e l’unico tempo importante è l’imprevedibile ma indispensabile “tempo della ricerca”.

Tutto sommato, il documentario di Pat Collins è un’esperienza didattica eclatante che ci introduce gradualmente nella vita e nel lavoro di uno dei importanti folcloristi della nostra età. Come esperienza visiva, richiede decisamente pazienza e dedizione, ma questo c’era da aspettarselo. Glassie era solito trascorrere almeno un decennio “stando con le persone e studiando le cose che creano”, così gli spettatori saranno sicuramente felici di imparare qualcosa riguardo i suoi cinquant’anni di ricerca in circa 105 minuti.

Henry Glassie: Field Work è una produzione irlandese messa in scena da Tina O'Reilly per South Wind Blows con sede a Bray e l’Harvest Films basato a Baltimora, con il supporto di Screen Ireland e l’Arts Council of Ireland.

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(Tradotto dall'inglese da Silvia Scarpone)

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