Recensione: This Is Not Cricket
- Il documentario di Jacopo de Bertoldi sui valori dell’integrazione racconta la storia di amicizia tra due ragazzi uniti dalla passione per il cricket, nel quartiere più multietnico di Roma
Cosa accomuna Fernando, romano cresciuto dalla zia siciliana e Shince, autentico romano di origine indiana? La passione per lo sport più praticato al mondo, dopo il calcio, ma che in Italia è quasi sconosciuto: il cricket. This Is Not Cricket [+leggi anche:
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scheda film], il documentario di Jacopo de Bertoldi presentato ad Alice nella Città, sezione autonoma e parallela della Festa del Cinema di Roma, come evento speciale di Panorama Italia, è la storia di un’amicizia nata sul campo, la risposta più semplice a pregiudizi e frontiere.
This Is Not Cricket inizia in un modo classico, con un found footage in cui si vede Fernando neonato e la voce fuori campo che dice “questo sono io, sono nato nel 1994, lo stesso anno in cui Nelson Mandela è diventato il primo presidente nero del Sudafrica mettendo fine all’apartheid, non so perché ma per me è sempre stato importante”. Forse perché a Roma anche i siciliani una volta si sentivano un po’ stranieri. Fernando è nato e vive a Piazza Vittoria, il quartiere più multietnico della città, come ormai tutti sanno, consacrato anche dal recente diario-documentario di Abel Ferrara che vive lì da qualche anno. Gli amici di Fernando sono sempre stati figli di immigrati da tutto il mondo. E così un giorno questo bambino scende al parco e vede i suoi coetanei che giocano ad un gioco che lui non aveva mai visto, un gioco di origine britannica e coloniale che paradossalmente è il cordone ombelicale che tiene legati gli immigrati in Europa ai loro Paesi di origine. E così vediamo Fernando intervistato dal telegiornale regionale per il primo anno di vita del Piazza Vittorio Cricket Club. “Quel pomeriggio arrivò Shince, e mentre i genitori denunciavano la sua scomparsa alla polizia, quel bambino indiano scappato di casa insegnava agli altri come si gioca davvero a cricket”. I due diventano inseparabili. La regola principale del cricket? Una palese metafora dell’integrazione: il battitore colpisce la palla, lascia la propria casa per raggiungerne un’altra, la corsa tra una casa e l’altra è il momento più pericoloso, il giocatore può essere eliminato…
La squadra, guidata da due allenatori idealisti, è campione d’Italia. Le trasferte, le discussioni sulle ragazze, i litigi. Ma poi si diventa più grandi, la grande famiglia si sfalda, qualcuno comincia a lavorare e non va più agli allenamenti, chi preferisce la moschea, i giri loschi, qualcuno si mette a spacciare. Si chiude dopo sette anni di attività. “Non ti accorgi di quello che hai finché non ce l’hai più”, riflette poeticamente Fernando. Nel 2015 lui e Shince rispolverano le mazze da cricket, si riparte, anche se il magnifico lanciatore indiano della squadra adesso ha la pancia. I due amici vogliono ancora una squadra multietnica, con i valori di un tempo. Il regista segue la coppia di amici attraverso gli anni - come Richard Linklater ha seguito Mason dall’infanzia al college nel bellissimo Boyhood - in una città dalla millenaria accoglienza che oggi invece stenta a riconoscere i propri figli, capitale di un Paese in cui si fa sempre più forte la propaganda xenofoba delle destre. In Shince e Fernando il regista cerca la proiezione di un futuro possibile, in un’Europa aperta, realizzando un bel documentario che piacerebbe a Ken Loach.
This Is Not Cricket è una produzione MIR Cinematografica con Rai Cinema, con la partecipazione di Cinétévé con France Télévisions, con il supporto del CNC - Centre National du Cinéma et de l'image Animée. Lo sviluppo è stato sostenuto da Eurodoc Media - Creative Europe.
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