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VENEZIA 2019 Venice VR

REPORT: Venice VR 2019

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- Condividiamo le nostre impressioni dopo aver visto 41 progetti immersivi inclusi nella sezione dedicata alla realtà virtuale della 76ma Mostra del Cinema di Venezia

REPORT: Venice VR 2019
The Key di Celine Tricart, che ha vinto il Gran Premio della giuria per il miglior lavoro immersivo in Venice VR

Sin dalla sua fondazione nel 1895, la Biennale di Venezia si è ramificata, abbracciando forme d’arte che prima non avevano posto nello stimato mondo delle belle arti. Nel 1930 la musica entrò in scena con un Festival Internazionale di Musica Contemporanea dedicato, e nel 1934 sia il teatro che il cinema si guadagnarono la stessa distinzione. In precedenza considerato come un derivato del teatro, della fotografia e della letteratura, il cinema ha abbracciato tutte queste influenze affermandosi come forma distinta di espressione artistica.

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L’istituzione della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia ha contribuito a suggellare l’accordo, fornendo terreno istituzionale per l’ascesa culturale dell’arte cinematografica. Dal 2017, Venezia cerca attivamente di dare spazio all’ennesimo mezzo emergente in cerca di riconoscimento, che per lo più va sotto il nome di VR. Il termine in sé è rimasto indietro nel campo, che non è più incentrato esclusivamente su esperienze virtuali che ci separano dall’ambiente circostante, ma comprende anche pezzi di realtà aumentata, proiezioni a cupola e collettive, esperimenti collaborativi facilitati da cuffie VR. Mentre dal punto di vista del grande pubblico la VR si colloca in gran parte all’interno di un ampio spettro di cinema espanso, come solitaria variazione a 360 gradi su video e film, il rapido sviluppo della tecnologia VR dimostra che dovrebbe essere trattata come un mezzo a pieno titolo.                               

Proprio come il cinema nel periodo del suo massimo splendore, la VR possiede un grande potenziale interdisplinare, assorbendo lezioni e mezzi di espressione da altri ambiti, ma crea anche condizioni esperienziali uniche che nessun altro mezzo può consentire. Se si cercasse il comune denominatore in questo campo eterogeneo, dopo aver esaminato le opere incluse nella terza rassegna della Venice VR, probabilmente sarebbe proprio lo stato di immersione, unito a una sensazione unica di posizionamento fisico all’interno del mondo virtuale, a rimanere in piedi dopo la rimozione di tutte le altre variabili creative.

Tra le opere selezionate da Michel Reilhac e Liz Rosenthal – curatori della sezione (leggi l’ intervista) – troviamo pezzi di sorprendente semplicità, composti da un’unica ripresa sferica a 360 gradi (O [5x1]), oltre a produzioni di massa, dove l’esplorazione del mondo virtuale, libera da costrizioni, è facilitata da vari musicisti, doppiatori e ristoratori in tempo reale (Cosmos Within Us). Alcune esperienze sono più strettamente legate ai giochi, lasciando che siano le meccaniche e le modalità di interazione a guidare l’esperienza, mentre altre, come The Making Of [5x1], indagano consapevolemente il loro status di forme cinematografiche espanse.

Non diversamente dal cinema degli albori, l’ambito VR brilla di potenzialità, poiché non esiste un modello economico consolidato che incentivi opere di quasiasi tipo. I frequentatori della Mostra di Venezia e dintorni hanno continuato a chiamare Lazzaretto Vecchio – un ex lebbrosario, dove si svolgeva la rassegna – “l’isola delle meraviglie” o “l’isola magica”. L’elemento meraviglioso dei pezzi presentati molto spesso non risiedeva nella loro qualità tecnica, nel fattore iper-pubblicizzato di induzione all’empatia, o addirittura nell’immersione stessa, ma nella sfida delle aspettative, nella diversità e nella costante capacità di produrre un senso di sorpresa.

Questa varietà si riflette bene nel verdetto della giuria guidata dalla famosa artista, cantante, regista e performer Laurie Anderson, che recentemente si è convertita alla VR. Il Gran Premio della Giuria per la Miglior Opera Immersiva VR è andato a Celine Tricart per The Key. Tricart ha lavorato in precedenza come assistente operatore e tecnico 3D in diverse produzioni su larga scala, come Transformers e Westworld, ma ha anche diretto feroci documentari impegnati politicamente come The Sun Ladies VR, che ci presenta una squadra di combattenti Yazide che si scontrano con l’ISIS. Entrambe queste qualità – competenze tecniche e preoccupazioni sociopolitiche – si uniscono nel suo lavoro di realtà mista che tratta di memoria, perdita e dislocazione. The Key combina elementi performativi con la realtà virtuale al fine di educare all’esperienza ed evocare un senso di responsabilità.

Il premio per la Migliore Esperienza Immersiva VR per i Contenuti Interattivi è andato a Ricardo Laganaro per A Linha. Se The Key flirta con le forme di un’opera da camera e di una mostra, A Linha è una favola di spettacolare fattura che usa la sua limitata interazione per evocare la sensazione fanciullesca del gioco. Nel corso dell’esperienza, si seguono le orme delle figure di legno inserite in un elaborato diorama. Come in una versione più allegra di The Truman Show, i pupazzi continuano a seguire la loro routine quotidiana – finché non smettono. Il pezzo di Laganaro non ci permette di esercitare un grande impatto sul suo mondo di storie, proprio come quel parente adulto che quando eri bambino non ti permetteva di rimettere a posto il suo modellino di treno; tuttavia riesce a suscitare lo stesso entusiasmo che provavamo da bambini quando scoprivamo un misterioso giocattolo in soffitta.

Daughters of Chibok di Joel Kachi Benson ha lasciato Venezia con il premio per la Migliore Storia Immersiva VR per Contenuto Lineare. La semplicità del pezzo documentaristico, presentato sotto forma di video a 360 gradi, è stato integrato dal peso delle circostanze sottostanti. Dopo essere stati lentamente introdotti alla routine quotidiana delle donne dell'area di Chibok in Nigeria, veniamo a conoscenza della tragedia che ha colpito il villaggio. Nel 2014, 276 studentesse di una scuola secondaria locale sono state rapite dall'organizzazione terroristica estremista Boko Haram. Lo apprendiamo solo dopo aver conosciuto le coraggiose e speranzose madri di Chibok, e questo ci impedisce di ignorare la loro storia e la loro perdita.

Un altro esercizio di confronto è stato uno dei pezzi VR più eclatanti della memoria recente, chiamato The Collider. Presentato nella sezione “Best of”, si è in qualche modo sfacciatamente pubblicizzato come una controparte umana del Large Hadron Collider del CERN, facendo entrare in collisione persone invece di particelle. Nonostante l'associazione scientifica, il lavoro di May Abdalla e Amy Rose era graziosamente semplice a livello tecnico, agevolando esperienze molto complesse e favorendo interazioni inaspettate.

Molte delle esperienze del programma hanno commesso da un lato il peccato mortale di sostenere l'interazione e dall'altro quello di non fidarsi abbastanza del loro pubblico. In alcuni casi, come in Feather di Keisuke Itoh, è stato fatto spogliando l'interazione di ogni elemento significativo che potesse darci autorità, mentre in altri, non ci siamo fidati abbastanza da empatizzare o riflettere da soli. Invece, siamo stati esplicitamente istruiti e guidati dalla voce fuori campo a sentire ciò che i creatori avevano voluto. Parlando con uno dei membri del team di Anagram che sta dietro a The Collider, abbiamo appreso che May Abdalla e Amy Rose hanno discusso ogni singola parola all'interno del voice-over per un paio di giorni. Questo è chiaro, dal momento che la narrazione del pezzo è semplice ma sfida lo spettatore a entrare in un gioco complesso; è informativo pur mantenendo l'intelligibilità e, soprattutto, evoca fiducia.

Un'altra opera che ha integrato con successo il parlato nella sua narrazione è Porton Down di Callum Cooper. Basata su una serie di interviste a Don Webb, un involontario partecipante alle prove di LSD eseguite sui soldati britannici, l'esperienza ti trasforma in un soggetto di prove ripetitive che il protagonista stesso ha subito decenni fa. Gli ambienti disegnati a mano, progettati originariamente in VR, ti ancorano fortemente alla memoria soggettiva di un partecipante drogato, mentre le monotone istruzioni ti costringono a rievocare i suoi gesti.

Mentre The Collider si interessava a confrontarsi con due individui in condizioni controllate e intime, la troupe di Loveseat, diretta da Kiira Benzing, ha affrontato una sfida completamente diversa. Con la messa in scena di uno spettacolo teatrale e l'inserimento del cast in cuffia, hanno fatto un tentativo in un formato completamente nuovo che potrebbe essere potenzialmente una soluzione praticabile per il settore, che soffre di una mancanza di modelli di distribuzione. La pièce teatrale di Kiira non solo incorpora gli attori nei loro avatar digitali, ma offre anche il potenziale per un'esperienza live simultanea e interattiva che potrebbe portare gli atti performativi direttamente a casa tua attraverso la VR.

Su una nota più introspettiva, la vetrina di Venezia ha offerto due nuove esperienze di Hsin-Chien Huang. Sia To the Moon, co-diretto con Laurie Anderson, che Bodyless erano alimentati da un sistema di navigazione estremamente piacevole e senza soluzione di continuità che l'artista taiwanese ha creato per Chalkroom (2017, sempre co-diretto da Laurie Anderson). Nonostante l'evidente contrasto tra gli ambienti ritratti – quello di una luna e di un regno spettrale infettato dai ricordi di una peste – entrambe  le opere condividono lo stesso principio esplorativo, aiutati da alcune meccaniche intuitive. Piuttosto che lavorare per una narrazione coerente, entrambi i titoli utilizzano la logica di un sogno lucido che si attraversa al proprio ritmo.

La libertà di movimento è stata anche al centro di Tónandi, un concept album composto per la realtà aumentata dalla band islandese Sigur Rós e tradotto nello spazio da Sarah Hopper, Mike Tucker e Steve Mangiat del team Magic Leap. Per avere un'idea di cosa sia Tónandi, provate a immaginare una melodia che fluttua nello spazio che vi circonda, trasformandosi negli elementi dell'ambiente – fili d'erba, spore o stormi di uccelli. Ogni volta che interagite con uno di questi oggetti, intensificate i suoni, attivate nuovi campioni o cambiate il loro tono. Camminando, correndo, ballando e toccando, si diventa co-compositori dei brani ambientali impostati dai musicisti.

Questi esperimenti interdisciplinari sono stati completati da Le Cri VR, una stupefacente ekphrasis del dipinto L’Urlo di Edvard Munch. Scansionato nei minimi dettagli, il quadro stesso è stato il fulcro dell'esperienza. Esplorandolo in modo sacrilego, che non è permesso nelle gallerie d'arte, ci vengono offerti costantemente nuovi tropi e modalità di interazione – dalla pittura sulle pareti del museo con la tavolozza dei colori del capolavoro di Munch allo sfracello della mummia peruviana che ha ispirato il pittore. Pur offrendo una lettura canonica dell'opera d'arte, Le Cri crea spazio sufficiente per creare un rapporto personale con essa.

La natura più esperienziale di questi pezzi è stata bilanciata nel programma da esperienze che hanno mostrato legami più evidenti con il cinema e il gioco. Da un lato, abbiamo visto le narrazioni e i mondi di storie di Gloomy Eyes, Battlescar - Punk Was Invented by Girls, Black Bag e Wolves in the Walls: It's All Over, e dall'altro, abbiamo affrontato una serie di coinvolgenti enigmi in A Fisherman's Tale, che evocava il fascino dei vecchi giochi per computer point-and-click, senza mai perdere di vista la narrazione.

Dopo aver visto tutte le opere durante la terza vetrina di Venice VR, probabilmente non ci siamo avvicinati neanche di un centimetro nello stabilire il futuro del settore, ma non possiamo più mettere in dubbio che il mezzo stesso sia qui per rimanere come una forma d'arte distinta.

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(Tradotto dall'inglese da Chantal Gisi)

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