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SALONICCO DOCUMENTARI 2020

Recensione: The Prophet and the Space Aliens

di 

- Yoav Shamir incoraggia gli spettatori a guardare in alto e ad affrontare gli incontri ravvicinati del terzo tipo

Recensione: The Prophet and the Space Aliens

Sebbene gli alieni del titolo non compaiano da nessuna parte in The Prophet and the Space Aliens [+leggi anche:
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scheda film
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, il divertente lavoro di Yoav Shamir presentato nel Concorso internazionale lungometraggi dell'ultima edizione online del Festival del documentario di Salonicco, la verità è che il film rispetta in una certa misura la sua attraente premessa. Seguendo “l'unico profeta sulla Terra”, il documentario non risparmia fatti curiosi, mentre introduce gli spettatori nel mondo del Movimento Raeliano, una religione fondata da Raël (alias Claude Vorilhon) e basata sull'affermazione che sia stata una razza di alieni conosciuti come Elohim a creare la vita sulla Terra.

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Quando gli alieni gli chiesero di diffondere il verbo, dopo il loro primo incontro negli anni '70, "Raël ha avuto quasi un'ulcera allo stomaco prima di decidere di abbandonare la sua carriera come giornalista sportivo e dedicarsi completamente alla missione", si racconta sul suo sito web. Non sorprende che questo profeta sia diventato una figura straordinaria, sposato con una ex ballerina e circondato dagli Angeli di Raël che, come quelli di Victoria’s Secret, sono scelti per il loro aspetto, poiché agli alieni piace "circondarsi di individui di grande bellezza fisica". Vestito interamente di bianco, come i Backstreet Boys in "I Want It That Way", Raël ha grandi progetti, soprattutto quello di un nuovo film che darà una spinta al movimento. Come lui stesso dice: "Qualcosa tra Star Wars, la Bibbia e I dieci comandamenti", dimostrando così di non aver mai sentito parlare del terribile Battlefield Earth (2000), basato su un libro del fondatore di Scientology, che il critico Roger Ebert ha paragonato al "viaggiare in autobus con qualcuno che non si fa la doccia da giorni”.

È quasi tutto folle in questo film, ma sebbene Shamir manchi di alcune abilità (in questo caso, il materiale è innegabilmente più potente del suo regista) e tenti goffamente di entrare personalmente nella storia, offre anche alcune osservazioni interessanti. Sembra che ci siano alcuni aspetti degli insegnamenti di Raël che rendono semplicemente felici le persone: dalla fluidità e libertà sessuale, con le preferenze personali indicate da nastri colorati per risparmiare tempo, fino alla sua severa condanna della violenza. Si dice anche che Raël incoraggi gli africani a tornare alle loro radici e credenze tradizionali, e che abbia creato un ospedale per le vittime di infibulazione, finanziato attraverso "clitbox", la cui semplice premessa è di donare soldi ogni volta che si ha un orgasmo.

Quando Raël inizia a cantare "Heal the World" (lett. guarisci il mondo) di Michael Jackson, è come se Will Ferrell dovesse saltar fuori da un momento all’altro per unirsi alla festa. Tuttavia, man mano che Shamir approfondisce il suo passato, quello di un ragazzo francese bullizzato con un padre assente, intravediamo il lato oscuro dietro tanta ridicolaggine. Emergono così alcune dinamiche che sembrano uscite da un fumetto. Ma tutto ciò sembra avere ben poca importanza. "Ecco perché siamo stati creati, per essere felici", predica Raël ai suoi grati seguaci, che gli donano il 10% dei loro guadagni. Secondo lui, a differenza delle grandi religioni organizzate, con questa le persone possono divertirsi e cambiare il mondo, sostenendo che se una volta è stato scelto il figlio di un falegname, perché ora non un aspirante cantante diventato fondatore di una rivista di macchine da corsa? Il che, in realtà, non fa una piega.

The Prophet and the Space Aliens è una coproduzione israelo-sudafricano-austriaca guidata da Tanya Aizikovich, Steven Markovitz e il regista stesso per Yoav Shamir Films (che gestisce anche le vendite internazionali), Big World Cinema e WILDart Film.

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(Tradotto dall'inglese)

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