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PRODUZIONE / FINANZIAMENTI Svizzera / Francia / Colombia

Felipe Monroy sta portando a termine il suo terzo lungometraggio sulla Colombia Hijos del viento

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- Prodotto, come il suo predecessore Los fantasmas del Caribe, dalla svizzera Adok Films, Hijos del viento sta per affrontare l’ultima fase di montaggio prevista per fine agosto

Felipe Monroy sta portando a termine il suo terzo lungometraggio sulla Colombia Hijos del viento
Hijos del viento di Felipe Monroy

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conclude una potente trilogia dedicata alla terra natale del regista colombiano residente a Ginevra dove ha studiato alla HEAD Felipe Monroy iniziata nel 2014 con Tacacho (Prix de la maison d’arrêt de Fleury-Mérogis nel 2014) e proseguita con Los fantasmas del Caribe [+leggi anche:
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(Selezione ufficiale a Visions du réel 2018). Ancora una volta è José Michel Buhler di Adok Films, insieme alla francese Les films d’ici e alla colombiana Totiante DC, ad accompagnare il regista in quanto produttore di un film coraggioso e necessario.

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Nella sua ultima fase di montaggio che precede il lavoro di postproduzione previsto per il mese di novembre, Los fantasmas del Caribe ha fatto parte dei cinque progetti che sono stati selezionati da Swiss Films per essere presentati a Visions du réel 2020 nel suo programma Swiss Previews. Il film, frutto di ricerche approfondite e di una sensibilità a fior di pelle, è attualmente alla ricerca di un distributore e di un festival pronto ad accogliere il suo debutto.

Il conflitto armato in Colombia e le sue terribili conseguenze sono al centro della filmografia di Felipe Monroy sin dal suo primo lungometraggio Tacacho che da voce alle vittime di una violenza imprigionata in un marasma di precarietà e paura. Hijos del viento si concentra su una situazione ben nota in Colombia di cui è però difficile e rischioso parlare: quella dei “Falsos positivos”, civili innocenti che l’esercito del presidente Alvaro Urribe ha rapito e ucciso facendoli passare per pericolosi “guerrilleros”. Lo scopo di tutto ciò? Far credere nell’efficacia crescente dei paramilitari e dell’esercito nel combattere i traffici illeciti della guerrilla. Il presidente Urribe ha in effetti messo in atto un sistema di promozione per i graduati e di bonifico per i soldati per ogni nemico guerrillero ucciso. Le derive di un tale “premio”, denunciate dalle madri (Las Madres de Soacha) di quanti sono spariti “portati via dal vento” (per riprendere il titolo del film) sono terribilmente reali e minuziosamente riportate nel film.

Perdonare, cancellare dalla memoria il conflitto armato in Colombia con le sue atroci conseguenze è impossibile. Felipe Monroy si oppone da sempre a questo tentativo di fare sparire le prove di una violenza inammissibile privilegiando un dovere di memoria indispensabile per ricostruirsi, per ritrovare un barlume d’equilibrio proprio lì dove questa parola non ha più senso.

È proprio nella necessità e nell’urgenza di raccontare, attraverso il mezzo filmico, la storia di quanti sono sopravvissuti (Doris, Maria, Betriz, Mauren e Carlos) che il regista trova la forza per lasciare una traccia dell’orrore partorito dalla sua stessa terra.

Al di là dei rischi che l’esprimersi pubblicamente implica, i protagonisti (compreso il regista) rifiutano il ruolo di vittime che la società li costringe a recitare per prendere finalmente in mano il loro destino. Hijos del viento si trasforma allora, attraverso le testimonianze dei suoi protagonisti esclusivamente e volutamente appartenenti al gruppo degli oppressi, in vero e proprio atto di resistenza.

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