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SOLETTA 2021

Recensione: Cinq nouvelles du cerveau

di 

- Jean-Stéphane Bron ci conduce per mano tra le pieghe oscure della mente umana. Un viaggio angosciante e affascinante dal quale è difficile uscire indenni

Recensione: Cinq nouvelles du cerveau

I documentari di Jean-Stéphane Bron si sono sempre concentrati sulle problematiche scottanti della nostra società: crisi della democrazia e sviluppo del populismo per quanto riguarda L’expérience Blocher [+leggi anche:
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(2013), o Cleveland contre Wall Street [+leggi anche:
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(2010), sulla crisi dei subprime, presentato alla Quinzaine des réalisateurs di Cannes e nominato al César. Quello che accomuna tutti i suoi documentari è una volontà rivendicata di giocare con i generi cinematografici: i film-processo nel caso di Cleveland contre Wallstreet, film sui vampiri per quanto riguarda il personaggio ambiguo e senza scrupoli incarnato da Blocher o la fantascienza a proposito del suo ultimo lavoro Cinq nouvelles du cerveau [+leggi anche:
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, presentato in prima internazionale alle Giornate di Soletta dove è in lizza per il Prix de Soleure.

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Come sottolineato dal regista, “in quest’inizio del XXI secolo la fantascienza è entrata nei laboratori” e le ricerche sull’intelligenza artificiale sembrano aver soppiantato quelle dedicate al funzionamento del cervello biologico. Con Cinq nouvelles du cerveau Jean-Stéphane Bron ci permette di entrare nelle viscere del mondo della scienza attraverso cinque i racconti di cinque esimi esperti che dipingono del futuro quadri a volte diversi ma sempre accomunati dalla curiosità nei confronti di un’evoluzione che è impossibile controllare.

Molte sono le domande che emergono dal viaggio nella mente umana proposto da Bron: potremo un giorno replicare il cervello umano grazie ai computer? Questo stesso cervello potrà essere manipolato e dominato dalle macchine? O ancora, i robot riusciranno un giorno a prendere il nostro posto diventando i nuovi colonizzatori dell’universo? Molte le domande e (fortunatamente) poche le risposte che il regista suggerisce in una volontà rivendicata di lasciare al pubblico il compito di farsi un’idea su cosa diventerà l’umanità, quale sarà il suo destino confrontata ad una coabitazione, quella con le macchine, non sempre eticamente, politicamente e filosoficamente facile. Quello che Bron ci permette di fare è riflettere, attraverso cinque piste, sulle conseguenze di ricerche scientifiche che si avvicinano a tratti alla fantascienza, come se quest’ultima si fosse per certi versi ironicamente impossessata dei laboratori. Malgrado dei personaggi spesso diversi tra loro, piuttosto legati ad un concetto di umanità riproducibile attraverso le macchine (Alexandre Pouget afferma che “l’umano è condannato  a sparire, sarà sopraffatto e sostituito dalle macchine, è inevitabile”) o più sensibili ai pericoli di una disumanizzazione provocata dall’utilizzo incontrollato dell’intelligenza artificiale (come nel caso di Aude Billard e Kristof Koch), il filo conduttore che guida questi cinque sorprendenti ritratti è la coscienza, il rapporto dialogico con l’altro. Che si tratti del legame padre/figlio come nel caso della famiglia Pouget (il cui capofamiglia ricorda sorprendentemente uno dei fratelli Mantle di Cronenberg), di quello umano/canino per quanto riguarda Koch e il suo compagno a quattro zampe o di quello fra scienziato e paziente incarnato da Birbaumer e i suoi pazienti affetti dalla sindrome locked-in, Cinq nouvelles du cerveau riesce a mantenersi in equilibrio tra fantascienza e umanità, tecnologia e filosofia.

La forza del film sta giustamente nel mostrare il lato più intimo e umano di questi personaggi che della scienza hanno fatto il loro credo. Malgrado una griglia d’analisi del mondo inevitabilmente e fortemente impregnata di razionalità, quello che influenza tutti questi scienziati nelle loro ricerche, anche se spesso involontariamente, sono le loro fragilità intime, le loro ideologie che, anche se accuratamente nascoste, riescono comunque a emergere dal loro nascondiglio segreto.

Cinq nouvelles du cerveau è prodotto da Bande à Part Films (Svizzera) e Les Films Pélleas (Francia) e venduto all’internazionale da MK2.

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(Tradotto dall'inglese)

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