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BERLINALE 2021 Berlinale Special

Recensione: Je Suis Karl

di 

- BERLINALE 2021: Il thriller di Christian Schwochow rinuncia alla sottigliezza a favore del melodramma, e ci sono troppe canzoni

Recensione: Je Suis Karl
Luna Wedler e Jannis Niewöhner in Je Suis Karl

Je Suis Karl [+leggi anche:
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intervista: Christian Schwochow
scheda film
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, il nuovo film di Christian Schwochow, presentato nella sezione Berlinale Special, è tutt'altro che sottile. Con le sue luci rosse drammatiche e la sua musica ancora più drammatica, il film presenta una storia semplicistica a partire da un tema terribilmente familiare: l'ascesa dei movimenti fascisti tra i giovani; aggiungendovi così tanto gloss che i suoi attraenti protagonisti quasi brillano sullo schermo.

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Il che potrebbe essere parte del messaggio, emulando così tanti demoni della storia, che assumono la forma di bellissimi giovani per attirare gli sprovvenduti mortali negli abissi. In questo caso, anche l'estrema destra sa sedurre e, soprattutto, adattarsi. Schwochow mostra volti molto diversi da quelli che siamo abituati a vedere nei telegiornali sulle marce nazionaliste in Europa. In questo caso "proteggere le fondamenta dell'Europa" non significa urlare insulti o lanciare fumogeni, almeno non subito. Questi aspiranti leader parlano bene in pubblico e si vestono bene, si muovono in ambienti simili ai TED Talks e sono dei sognatori. “Sieg Heil? Questo è il passato, vai oltre", dice l’astro nascente Karl rivolgendosi a un membro troppo entusiasta del pubblico che non ha compreso appieno il messaggio. Parafrasando i Mandaloriani, "non è questo il modo".

L'inizio del film, in cui una famiglia felice subisce un terribile attentato, è più efficace di alcune delle sciocchezze e di molte canzoni che seguono. Basta un pacco misterioso, presumibilmente indirizzato a un vicino, per distruggere la vita di questa famiglia, lasciando Maxi (Luna Wedler) e suo padre Alex (Milan Peschel) da soli a raccogliere letteralmente i pezzi dopo l'esplosione. Entrambi soffrono, ma in modi diversi, incapaci di aiutarsi a vicenda, ed entrambi gli attori lo mostrano piuttosto bene. Tuttavia, la proposta di Schwochow non è un'esplorazione del trauma, ma un thriller dinamico, facile da guardare e alquanto trash, dove il Karl interpretato da Jannis Niewöhner viene presentato come un attraente stalker, come il protagonista della serie You, che arriva a baciare il proprio riflesso nello specchio. Nient'altro da aggiungere.

A causa di queste scene esagerate (non c'è bisogno di spoilerare oltre entrando nei dettagli), la lotta silenziosa di Alex è forse la più toccante. L'uomo incolpa se stesso, ma deve anche occuparsi di qualcosa che, se si rivelasse vero, andrebbe contro le sue convinzioni, convinzioni che la sua defunta moglie condivideva attivamente. Quando li vediamo aiutare un rifugiato a entrare in Germania con la loro macchina, è chiaro che sono felici di ricevere chiunque nel loro paese; finché non si verifica la tragedia. Potremmo dire che Peschel è il cuore del film: fragile, dimenticato e smarrito di fronte all'impensabile, aggrappato a un uccello morto come se fosse il suo miglior amico. È un peccato che quando l'affascinante Karl si presenta e reclama tutta l'attenzione, tutto si trasforma in vuote conversazioni e nell'ennesimo promemoria che il male e la crudeltà hanno facce diverse, alcune delle quali davvero attraenti.

Je Suis Karl è prodotto dalla tedesca Pandora Filmproduktion, ed è coprodotto dalla ceca Negativ, Rundfunk Berlin-Brandenburg, ARTE, Westdeutscher Rundfunk e ARD Degeto. Le vendite mondiali sono gestite da The Match Factory.

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(Tradotto dall'inglese)

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