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SERIE / RECENSIONI Italia

Recensione serie: Zero

di 

- Sbarca su Netflix la serie italiana con protagonista un ragazzo di colore che trasforma la sua invisibilità sociale in un superpotere. Un trionfo di multiculturalità, inclusione e lotta al pregiudizio

Recensione serie: Zero
Giuseppe Dave Seke in Zero

Essere invisibili agli occhi della società si trasforma in un superpotere in Zero, la nuova serie originale italiana Netflix creata da Menotti (Lo chiamavano Jeeg Robot [+leggi anche:
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) da un’idea dello scrittore di origine angolana Antonio Dikele Distefano, una produzione in otto episodi che per la prima volta vede una serie italiana mettere al centro del suo racconto un ragazzo italiano di colore accompagnato da un cast tutto multiculturale di giovani immigrati di seconda generazione, e che tratta temi quali la diversità, l’inclusione, la gentrificazione, il senso di appartenenza, in una periferia di Milano come non si è mai vista.

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Diretta da Paola Randi, Ivan Silvestrini, Margherita Ferri e Mohamed Hossameldin, Zero ha come protagonista Omar (l’esordiente Giuseppe Dave Seke), un giovane rider che vive con suo padre Thierno (Alex Van Damme) e sua sorella Awa (Virginia Diop) al Barrio, quartiere periferico di Milano, e che per via della sua pelle viene spesso scambiato per quello che non è: uno spacciatore, un vucumprà, un ladro. Per la società, praticamente un invisibile. Eppure Omar è un talentuoso disegnatore di fumetti, e ad accorgersi di quanto lui sia speciale è Anna (Beatrice Grannò, vista in Tornare [+leggi anche:
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), ragazza della Milano bene dalla vita apparentemente perfetta, che Omar conosce portandole la pizza domicilio, e con cui instaura un’affettuosa amicizia.

Un giorno, Omar scopre che quell’invisibilità interiore che prova quotidianamente può trasformarsi in un vero e proprio superpotere: quello di sparire a comando. Viene quindi convinto dai suoi nuovi amici, Sharif (Haroun Fall), Momo (Richard Dylan Magon), Sara (Daniela Scattolin) e Inno (Madior Fall), a sfruttare questa straordinaria dote per una buona causa: quella di salvare il loro amato Barrio dagli atti di vandalismo e dalle mire di palazzinari senza scrupoli, che intendono spopolare il quartiere per costruirvi le loro residenze di lusso. Così Omar diventa Zero, da invisibile a eroe, proprio grazie alla sua invisibilità.

Da questa Milano di periferia che sembra Harlem e dove si gioca a basket per strada, nessuno vuole scappare, anzi. Il senso di comunità, la forza del gruppo e il legame identitario con il luogo in cui si è cresciuti sono i temi portanti della storia – e questi ragazzi si sentono, giustamente, in tutto e per tutto italiani. Ma se le cose non vanno, bisogna agire. “Apri gli occhi”, è il motto di Omar/Zero e della sua banda, “il mondo ti guarda se tu lo guardi, si occupa di te se tu ti occupi di lui”. Un bell’invito alla partecipazione attiva e a credere in se stessi, dove l’elemento fantastico è calato in un contesto quotidiano con discrezione e una buona dose di leggerezza.

Prodotta da Fabula Pictures (già dietro le tre stagioni di Baby) con la partecipazione di Red Joint Film, Zero è una serie appassionata e significativa che con un linguaggio fresco, giovanile, e con tanta musica di tendenza rap, trap e R&B di sottofondo, dà visibilità ai nuovi italiani, al loro mondo e alle loro aspirazioni. Dal 21 aprile su Netflix in tutti i paesi in cui il servizio è attivo.

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