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FIFDH GINEVRA 2022

Recensione: Je suis noires

di 

- La giornalista Rachel M’Bon e la regista Juliana Fanjul danno voce alle donne nere della Svizzera, in un primo passo verso la liberazione di una parola soffocata

Recensione: Je suis noires

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ai personaggi femminili che abitano, in silenzio, i margini della nostra società, la regista d’origine messicana basata a Ginevra Juliana Fanjul è stata quasi naturalmente integrata al progetto che la giornalista ed esperta in comunicazione svizzera Rachel M’Bon coltiva da molto tempo e che culmina con Je suis noires: quello di dare voce alle donne nere della Svizzera, di imporre la loro immagine all’interno di un panorama visivo (pensiamo alle pubblicità, alle personalità politiche o mediatiche svizzere ecc.) che tende ad escluderle. Un progetto sicuramente ambizioso e complesso che ha costretto Juliana Fanjul ad interrogarsi sulla sua legittimità in quanto portavoce di una realtà che non ha vissuto sulla sua pelle e sulla necessità di farlo per colmare il vuoto presente nella cinematografia elvetica (ma certamente non solo).

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Sin dall’inizio pensato come il ritratto corale di una Svizzera multisfaccettata, Je suis noires, presentato al FIFDH di Ginevra nel Concorso Documentaire de création, è però indubbiamente capitanato dalla regista-protagonista Rachel M’Bon che interroga un gruppo di donne svizzere d’origine africana sul loro rapporto con l’alterità. Le discussioni si trasformano in riflessioni personali, quelle della regista, sulla sua propria vita, sul suo tentativo costante e stremante di fondersi nella massa fino alla resa finale, alla liberazione di una “differenza” che nel suo caso è legata alle sue origini congolesi e svizzere ma che potrebbe benissimo anche esprimersi con altre (magnifiche) forme di “scarto rispetto alla norma” come per esempio l’omosessualità, la transidentità o l’handicap fisico o mentale.

Le protagoniste del film sono sei: Tallulah Bar, dirigente bancaria che ammette d’aver sognato, da bambina, di svegliarsi un giorno con la pelle bianca e che lotta costantemente contro i suoi stessi pregiudizi legati al suo aspetto; Brigitte Lembwadio, avvocata che riflette sulle barriere che lei stessa ha eretto nell’espressione della sua vera identità (“se io, prima donna nera svizzera ad aver ottenuto il brevetto d’avvocato non oso liberarmi, chi potrà farlo?”, dice alla regista); Carmel Frohlicher, psicologa che difende una Svizzera multiculturale; Armelle Saunier, anche lei dirigente bancaria preoccupata per i suoi figli e la stigmatizzazione che possono subire a scuola; Paula Charles, ex-gogo dancer “esotica” e scrittrice; e la studentessa diciassettenne Khalissa Akadi che cerca di trovare la sua strada in quanto donna svizzera meticcia.

Sebbene Je suis noires abbia l’indubbio merito di sollevare la questione importantissima della visibilità (o meglio, invisibilità) delle persone nere nel paesaggio culturale e mediatico svizzero, il film avrebbe guadagnato in potenza se si fosse svincolato completamente dal binarismo fra persone bianche e non bianche, due categorie al loro interno estremamente complesse (come sottolineato dalla regista stessa) e difficili da maneggiare come gruppi “monolitici”. La questione delle origini etniche porta infatti con sé una moltitudine di altri interrogativi: legati alla condizione sociale, all’orientamento sessuale, alle questioni di genere ecc. che sarebbe stato interessante se non esplorare, per lo meno sottolineare maggiormente. Se di sicuro la Svizzera, come molti altri paesi, soffre d’un manco cronico di rappresentanti delle “minorità” che fanno la sua ricchezza, il problema ha purtroppo ramificazioni ben più estese tanto territorialmente quanto tematicamente.

La rabbia e la frustrazione che Rachel M’Bon risente e che l’hanno spinta persino a rifiutare la sua stessa identità fanno la forza di un film che rappresenta un primo, importante passo in avanti verso la liberazione di una parola troppo a lungo soffocata.

Je suis noires è prodotto da Akka Films (che si occupa anche delle vendite all’internazionale) insieme alla RTS Radio Télévision Suisse.

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