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LOCARNO 2022 Concorso

Recensione: Il pataffio

di 

- Il film di Francesco Lagi è sgangherato: a tratti strambo e divertente, resta caratterizzato da un ritmo irregolare e vittima di un’eredità cinematografica troppo pesante

Recensione: Il pataffio
Vincenzo Nemolato, Giovanni Ludeno, Giorgio Tirabassi, Lino Musella e Valerio Mastandrea in Il pataffio

L’Italia è rappresentata da un film di genere nel concorso principale del Locarno Film Festival di quest’anno, ovvero Il pataffio [+leggi anche:
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, scritto e diretto da Francesco Lagi e tratto dall’omonimo romanzo di Luigi Malerba pubblicato nel 1978. In questo lungometraggio, seguiamo le disavventure di un drappello guidato dal Marconte Berlocchio (Lino Musella) e dalla sua novella sposa Bernarda (Viviana Cangiano). I due consorti si apprestano a prendere possesso del feudo donato dal re e padre di Bernarda, un minuscolo e affamato villaggio chiamato Tripalle.

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La corte che accompagna Berlocchio ospita bizzarri personaggi come il prelato (Alessandro Gassmann), il gabelliere e consigliere (Giorgio Tirabassi) e le due strampalate guardie Ulfredo e Manfredo, rispettivamente interpretate da Vincenzo Nemolato e Giovanni Ludeno. Una volta preso possesso del feudo e del castello, tuttavia, Berlocchio inizia ad imporre ai suoi sudditi tasse impossibili da pagare e requisisce tutto il loro bestiame, provvisoriamente lasciato pascolare all’interno della sua dimora. Una notte, il bestiame e i cavalli del manipolo di soldati spariscono misteriosamente e il capo popolo (Valerio Mastandrea) viene subito accusato.

Nel complesso, Il pataffio possiede delle interpretazioni discrete (spicca in tal senso la bravura di Musella e il sornione personaggio messo in scena da Tirabassi) e alcune trovate che faranno quantomeno sorridere gli spettatori, sopratutto quando Lagi fa incursione nel territorio del black humour o della cosiddetta “deadpan comedy.” Tuttavia, non mancano cadute di stile con peti e toilet humour più classico.

In generale, Il pataffio resta privo della fluidità e dei guizzi necessari a trasformarsi in un lavoro compiuto. Il ritmo è altalenante e soffre di diverse lungaggini che avrebbero potuto risolversi con soluzioni narrative più agili: basti pensare ai continui andirivieni tra Tripalle ed il vicino feudo di Castellazzo o alla sequenza della sepoltura, della quale non possiamo svelare troppo per evitare spoiler. Anche il finale, purtroppo, ineluttabile quanto affrettato rischia di non soddisfare lo spettatore.

Il comparto tecnico è senza infamia e senza lode, eccezion fatta per la tamburellante colonna sonora di Stefano Bollani, accattivante ed adatta al tono scalcinato del film.

L’eredità cinematografica che si poggia sul lavoro di Lagi, pare doveroso precisarlo, è senza dubbio pesantissima. Pur trattandosi di una storia diversa da quella de L’armata Brancaleone, l’ambientazione, lo stile di certe gag, il pastiche di italiano, dialetto e “latinorum” parlato dai personaggi, la veracità delle interpretazioni e diversi altri elementi ricordano fin troppo esplicitamente e riecheggiano con varia intensità il lavoro di Mario Monicelli.

Il confronto è pertanto inevitabile e il film ne esce ridimensionato, trasformandosi in un gioco d’attori che, forse, spezzettato in piccoli episodi trasmessi su un canale televisivo o pubblicati sul web e presentato come una possibile pseudocommedia storica in salsa monicelliana troverebbe un habitat più adatto rispetto ad un lungometraggio per le sale e lungo quasi due ore.

Resta apprezzabile il tentativo di Lagi – in piccola parte riuscito – di rispolverare e fare proprio un cinema agrodolce d’altri tempi e di uscire dai canoni imperanti della commedia contemporanea spensierata ed ottimista, imbastendo un buon cast ma non sfruttandone pienamente il potenziale.

Il pataffio è stato prodotto da Vivo Film e Rai Cinema e coprodotto da Umedia e Colorado Film. The Match Factory si occupa delle vendite internazionali.

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