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LOCARNO 2022 Concorso

Recensione: Sermon to the Fish

di 

- Il nono film di Hilal Baydarov riflette su ciò che resta dopo aver vinto una guerra, senza fronzoli ma con grande bellezza e profondità d'animo

Recensione: Sermon to the Fish

Cos'è lo slow cinema? Il nono lungometraggio di Hilal Baydarov, Sermon to the Fish [+leggi anche:
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, è un esempio di slow cinema al suo meglio. Dopo i recenti In Between Dying [+leggi anche:
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e Crane Lantern, il prolifico autore azero ha creato una nuova storia ambientata all'indomani del conflitto del Nagorno-Karabakh, proiettata nel concorso ufficiale del Locarno Film Festival di quest'anno.

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Baydarov racconta una storia di disperazione e morte, che ruota attorno a Davud (un personaggio ricorrente, apparso anche nei due film precedenti del regista, e interpretato da Orkhan Iskandarli) e sua sorella (Rana Asgarova, anche lei nei film precedenti). Nel loro villaggio, circondato da un aspro paesaggio azero, sono tutti morti. Davud cerca di convincere sua sorella a lasciare questa terra desolata, ma lei vuole restare e persino morire qui, se non c'è altra scelta. Nel frattempo Davud continua a indossare la sua uniforme, perseguitato dai traumi vissuti in guerra, e a conversare con i caduti che facevano parte del suo plotone.

Fin dall’inquadratura iniziale, il film immerge gli spettatori in una dimensione erratica e scomoda in cui la sorella di Davud parla al sole, alle nuvole, al vento e persino alla strada "che ha portato via la sua famiglia". La strada, in particolare, potrebbe essere intesa come una metafora della sua famiglia e dell'inevitabile destino del suo villaggio.

Baydarov utilizza diversi strumenti per mettere in scena il suo racconto. Strumenti che sono tipici del suo stile di regia ma che, in questa occasione, sembrano più schematici, più minimalisti rispetto ai suoi precedenti film. Il primo di questi strumenti è l’uso attento del paesaggio sonoro (creati da Elshan Baydarov e Christian Giraud), in cui ogni singolo rumore – anche quello di un coltello che affetta un pesce – incarna un ultimo respiro di vita. La colonna sonora altamente suggestiva di Kanan Rustamli si fa sentire solo quando necessario. Il villaggio deserto, ripreso in modo impeccabile dallo stesso Baydarov e composto da giacimenti petroliferi abbandonati, rovine e tocchi di innaturale bellezza, come un albero giallo piegato, incastonato tra le colline, è il luogo perfetto per un gruppo di personaggi che si rendono conto che una volta che la guerra è vinta, non resta nulla. La guerra infuria ancora nelle loro menti e nelle loro anime, portando gradualmente alla decadenza.

L'unica consolazione della sorella di Davud è un cane che trova lungo la strada. Il cane magari condividerà  lo stesso destino, ma mostra comunque grande lealtà e affetto.

Le due sequenze finali – composte da due campi lunghi – straziano il cuore dello spettatore. "Sopravvivere non è vivere", insiste uno dei due protagonisti a un certo punto, e questo è un messaggio importante e universale che Baydarov trasmette in tutto il suo film, e nemmeno troppo sottilmente. Il Nagorno-Karabakh è uno stato d'animo, un luogo di disperazione, un inferno sulla Terra condivisibile dai sopravvissuti a ogni guerra, siano essi vicini o lontani da noi.

Sermon to the Fish è prodotto dall'Azerbaigian Ucqar Film e dai messicani Splendor Omnia Studios, in co-produzione con la svizzera Bord Cadre films, la britannica Sovereign Films, le messicane Ultra Productions e Cárcava Cine e le turche TRT Sinema e Poetika Film. La Asian Shadows, con sede a Hong Kong, è responsabile delle vendite internazionali.

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(Tradotto dall'inglese)

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