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VENEZIA 2022 Concorso

Recensione: Saint Omer

di 

- VENEZIA 2022: La documentarista Alice Diop passa alla finzione con un film molto particolare, acuto e criptico, che esplora la superficie e le grandi profondità di un processo per infanticidio

Recensione: Saint Omer
Guslagie Malanda in Saint Omer

"Che dolore (…) Mi sono persa nella notte". Inserendo questo estratto scritto da Marguerite Duras per Hiroshima mon amour di Alain Resnais all'inizio del suo primo lungometraggio di finzione Saint Omer [+leggi anche:
trailer
intervista: Alice Diop
intervista: Kayije Kagame
scheda film
]
, e accostandolo a filmati d'archivio di donne francesi le cui teste erano state rasate dopo la Liberazione per essere andate a letto con soldati tedeschi, la regista francese Alice Diop rivela una delle ambizioni segrete del suo film, un'opera cruda, tagliente e volutamente opaca presentata in concorso alla 79ma Mostra di Venezia: usare "il potere della narrazione per sublimare il reale".

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A ciò si aggiunga un soggetto forte (un processo per infanticidio, strettamente ispirato a una storia vera) che approfondisce i riflessi complessi della mostruosità umana, l'esperienza della regista come documentarista associata alla fotografia pittorica di Claire Mathon, la questione dei neri nella società francese, un pizzico di filosofia subliminale (si cita Wittgenstein, per il quale “ciò che non si può dire non si deve dire”), un filo narrativo organicamente intrecciato con molteplici echi tra madri e figlie (e figlie e madri), la questione della responsabilità individuale e dell'influenza della società sul nostro destino, e le due carismatiche attrici protagoniste, Guslagie Malanda e Kayije Kagame, e avrete ancora solo un assaggio della densità sotterranea di un film aperto all'interpretazione, tanto sottile (al confine sfumato della manipolazione) è il modo in cui Alice Diop utilizza il frontale e la suggestione.

La storia (scritta dalla regista con la sua montatrice Amrita David e con la scrittrice Marie Ndiaye) è apparentemente semplice. La scrittrice Rama (Kayije Kagame) si trova a Saint-Omer, cittadina del nord della Francia, per assistere al processo a Laurence Coly (Guslagie Malanda), nata nel 1980 a Dakar, studentessa residente in un vicino sobborgo parigino e accusata di aver ha ucciso la figlia di 15 mesi, abbandonandola una notte, con l'alta marea, sulla spiaggia di Berck. Rama vuole scrivere un libro dal titolo Médée naufragée (vedremo anche un estratto del film di Pasolini), ma è soprattutto affascinata fino al disagio da questo evento che funge da riflesso del suo passato familiare e della sua futura condizione di madre. Un riflesso che diventa sempre più opaco con l'avanzare del processo, tratteggiando in modo altamente metodico (ogni interrogatorio e ogni testimone contribuiscono a chiarire ma anche ad offuscare) il percorso e la personalità dell'imputata, compresa la sua immensa solitudine sociale, la sua crescente invisibilità, le sue bugie e le sue verità, le ragioni e l'irragionevolezza della sua follia ("una donna che ha ucciso il suo bambino non può aspettarsi simpatia").

Svelando "la storia di una donna fantasma che nessuno conosce" e quella di una "lenta scomparsa a cui una madre trascina il figlio", Saint-Omer lavora con finezza sulla distanza, sui pregiudizi e sulle percezioni di un crimine che va oltre ogni possibile comprensione, distillando qua e là indizi sull'esatto contenuto del suo messaggio (il razzismo è trattato in modo molto discreto). Un'opacità che dà forza a un film allo stesso tempo avvincente e criptico, in perfetta sintonia con la sua tormentata protagonista.

Prodotto da SRAB Films e coprodotto da Arte France Cinéma, Saint Omer è venduto da Wild Bunch International.

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(Tradotto dal francese)


Photogallery 07/09/2022: Venezia 2022 - Saint-Omer

19 immagini disponibili. Scorri verso sinistra o destra per vederle tutte.

Alice Diop, Kayije Kagame, Guslagie Malanda, Valérie Dréville, Aurélia Petit
© 2022 Fabrizio de Gennaro for Cineuropa - fadege.it, @fadege.it

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