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SUNDANCE 2023 Concorso World Cinema Documentary

Recensione: 5 Seasons of Revolution

di 

- Nell'affascinante documentario di Lina, che le è costato dieci anni di lavoro, la guerra è una questione molto personale

Recensione: 5 Seasons of Revolution

Non è facile fare documentari sulla guerra al giorno d'oggi, e non è facile nemmeno guardarli. Non solo perché il loro contenuto, spesso straziante, è troppo da sopportare, ma anche perché la gente è ormai troppo abituata. Le immagini di conflitti, di violenza, di dolore indicibile continuano ad arrivare, ogni giorno. Ogni giorno qualcuno viene ferito e il mondo tace. Allora che ne dite di un inizio ottimista?

La giornalista Lina, nata a Damasco, che ha adottato questo nome e molti altri per motivi di sicurezza, ha trovato comunque una strada: non continua la tradizione di mostrare persone sconosciute che soffrono in una terra sconosciuta. La distanza, la cosiddetta "obiettività", questa volta non c'è: si tratta dei suoi amici, della sua casa. Forse è per questo che 5 Seasons of Revolution [+leggi anche:
trailer
intervista: Lina
scheda film
]
, realizzato nell’arco di una decina d'anni e presentato in anteprima mondiale al Sundance nel concorso World Cinema Documentary, a volte sembra un po' disordinato. Quando il mondo sta implodendo, non è possibile mantenere la calma o trovare un commento intelligente da fare.

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Il film, che vanta la partecipazione di Laura Poitras come produttore esecutivo, mostra gli orrori della guerra siriana, è vero. Ma sarebbe meglio descriverlo come un film sull'amicizia, sulla giovinezza rubata, e questo è ciò che lo rende toccante. Sebbene la voce di Lina sia una costante, probabilmente non ne avremmo nemmeno bisogno. Vedere tutti questi giovani felici perdere la speranza o mettere in discussione le proprie convinzioni è un messaggio abbastanza chiaro.

Il che non vuol dire che si tratti di un'opera semplicistica: con i suoi molti protagonisti e le sue ancor più numerose tragedie, c'è tanto da scoprire e le cose si fanno un po’ confuse. Lina, al suo debutto come regista, sta chiaramente cercando di capire le cose da sola, di trovare la propria voce e la propria storia. Intervista persone ferite, che fissano la telecamera come se si aspettassero delle risposte o forse vogliono solo essere riprese, mostra la distruzione e ricorda le morti. E poi torna a casa, dai suoi amici, che avevano fatto grandi progetti per il futuro prima che qualcuno decidesse di portare via tutto.

Impariamo a conoscerli un po' e a farceli piacere. Qualcuno fuma troppo, qualcuno si arrabbia troppo. Ma quando cantano "Buon compleanno, rivoluzione", si percepisce la disperazione di tutto questo. La crescente consapevolezza che nessuno li aiuterà, anche se "hanno detto che il mondo era indignato". L'hanno detto anche dell'Ucraina.

Descrivendo i giorni peggiori sempre con la massima calma possibile, Lina dimostra che la forza è nella comunità. "Hanno preso Rima. Ho deciso di darle da mangiare ai suoi gatti", si sente in una frase al tempo stesso pratica e affettuosa. Ma con il passare dei mesi, le idee si evolvono e le persone iniziano a litigare, ammettendo che "il costo non è più accettabile". Crescono e cambiano, così come la loro amicizia. Accettano la tristezza come loro nuova compagna. Quando si confrontano le primissime immagini di loro che si divertono, che si sentono liberi, con quelle di loro che girano per la loro "compiaciuta" città, cercando manifestazioni e non trovando nulla, è come un pugno allo stomaco.

5 Seasons of Revolution è una coproduzione tedesco-siriana-olandese-norvegese di Diana El Jeiroudi (No Nation Films), Docmakers e Piraya Films Norway.

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(Tradotto dall'inglese)

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