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IFFR 2023 Limelight

Recensione: A House in Jerusalem

di 

- Il duo creativo Muayad e Rami Alayan crea un toccante racconto di formazione sfruttando alcuni noti luoghi comuni sulla perdita e il trauma, ma in un modo fresco e potente

Recensione: A House in Jerusalem
Miley Locke e Johnny Harris in A House in Jerusalem

Il dramma coming-of-age A House in Jerusalem [+leggi anche:
trailer
scheda film
]
 del regista Muayad Alayan è certamente una delle piccole gemme dell'IFFR di quest'anno. Il film, scritto con Rami Alayan, è stato presentato nella sezione Limelight del festival olandese.

Il film vede la giovane Rebecca (Miley Locke) costretta a trasferirsi con il padre (Johnny Harris) dall'Inghilterra a Gerusalemme. Egli spera che il nuovo inizio in Israele aiuti la bambina a superare l'improvvisa perdita della madre. Dopo essersi trasferiti in una vecchia casa in un quartiere noto come la Valle dei Fantasmi, si verificano una serie di eventi misteriosi di cui Rebecca viene incolpata. Tutto sembra essere innescato dall'intensa curiosità della bambina per una botola situata nel cortile della casa, dove trova una vecchia bambola abbandonata, probabilmente da decenni. Dopo un po' di tempo, Rebecca scopre cosa c'è dietro tutti questi strani avvenimenti. Tuttavia, non appena il film sembra proiettarci in una storia horror piuttosto classica, prende una piega del tutto inaspettata.

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A quanto pare, la casa è ancora abitata dallo spirito di una misteriosa ragazza, chiamata Rasha (Sheherazade Makhoul Farrell), che sostiene di aver aspettato a lungo il ritorno dei suoi genitori, fuggiti "dagli uomini armati". Rasha è visibile solo a Rebecca ed entrambe cercano di scoprire cosa è successo a lei e alla sua famiglia.

La qualità della scrittura è cristallina, poiché il duo creativo riesce a toccare magnificamente diversi temi oltre al lutto e al trauma. A House in Jerusalem è anche un racconto sull'amicizia, sulla salute mentale e sulle famiglie disfunzionali, con alcuni evidenti accenni al complesso contesto sociopolitico di Israele.

L'ambizione di combinare tutti questi elementi potrebbe facilmente risultare in una sceneggiatura molto confusionaria, ma per fortuna sono tutti ben bilanciati e aiutano la progressione della narrazione.

Senza giri di parole, il cast principale è solido e convincente. Locke, il cui atteggiamento e look assomigliano molto a quelli di una giovane Millie Bobby Brown in Stranger Things, infonde al suo personaggio la giusta dose di spirito ribelle e testardaggine. Nel frattempo, Harris infonde fragilità al suo ruolo e ci rendiamo veramente conto del suo dolore durante la scena in cui Rasha è testimone di uno dei suoi segreti più tristi. Fa del suo meglio per la figlia - e per se stesso - per aiutarli ad andare avanti, cercando un aiuto esterno e cercando di tenere la situazione sotto controllo. L'interpretazione di Makhoul Farrell è credibile nel suo doppio ruolo di "spirito della casa" e di bambina abbandonata che ha perso la cognizione del tempo e non ha alcuna conoscenza del mondo esterno - sicuramente non il compito più facile da svolgere per un'attrice della sua età.

Nel complesso, il film emerge come un'avvincente metafora sul trauma - la natura dello spirito della casa viene pienamente rivelata attraverso un sorprendente colpo di scena. Anche se il film sfrutta alcuni tropi già noti, il risultato finale è fresco e molto intrigante.

A House in Jerusalem è stato prodotto da PalCine Productions (Palestina) e Wellington Films Limited (Regno Unito), in co-produzione con Metafora (Qatar), ZDF/ARTE (Germania), Cocoon Films (Regno Unito), Red Balloon Film (Germania) e KeyFilm (Olanda), in partnership con MAD Solutions (Egitto/Emirati Arabi). L’azienda greca Heretic ne gestisce le vendite internazionali..

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(Tradotto dall'inglese da Alessandro Luchetti)

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