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BERLINALE 2023 Encounters

Recensione: Le mura di Bergamo

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- BERLINALE 2023: Il documentario di Stefano Savona racconta l’elaborazione collettiva del lutto di una delle città più colpite dal Covid-19, e lo fa con la giusta distanza

Recensione: Le mura di Bergamo

L’area di Bergamo è stata tra le prime e tra le più colpite al mondo dal Covid-19. Nella tarda primavera del 2020 il documentarista italiano Stefano Savona parte da Parigi, dove vive, per riprendere l’emergenza nel suo momento più cruciale, come aveva fatto per l’occupazione di Piazza Tahrir al Cairo nel febbraio 2011 per il suo film Tahrir [+leggi anche:
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, e a Gaza, all’indomani dei bombardamenti dell'esercito israeliano per La strada dei Samouni [+leggi anche:
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, Oeil d’or al Miglior documentario del Festival di Cannes 2018. Proiettato nella sezione Encounters della Berlinale, Le mura di Bergamo [+leggi anche:
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racconta il durante - il lungo incubo della pandemia, la morte diffusa, le strade deserte, i reparti di terapia intensiva al collasso e il personale che lavora senza sosta, gli ultimi saluti negati - ma soprattutto racconta il dopo, l’elaborazione collettiva di quell’incubo, una volta che la città si è risvegliata.

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Savona arriva nella città di 120mila abitanti con un team di suoi ex studenti del Centro Sperimentale di Cinematografia di Palermo (Danny Biancardi, Sebastiano Caceffo, Alessandro Drudi, Silvia Miola, Virginia Nardelli, Benedetta Valabrega, Marta Violante), nel momento in cui la morte è più presente, riprende con tutta la discrezione possibile i corpi martoriati, i volti coperti dalle maschere. Difficile trattenere la commozione davanti a quelle immagini, che in parte abbiamo assimilato in questi anni. Ridotti a corpi inerti dai farmaci ipnotici per facilitare l’intubazione, queste persone hanno raccontato di aver avuto lunghi sogni che richiamavano ricordi. Per dare sostanza a questo mondo interiore, a queste rievocazioni legate alla montagna, all’acqua, all’infanzia, il regista ha attinto a Cinescatti, un archivio nato a Bergamo per raccogliere filmati realizzati da cineamatori tra gli anni ‘30 e gli anni ‘80 nei formati 9,5mm, 8mm, Super8, 16mm e che rappresenta quindi la memoria collettiva della città.

Ma è sui sopravvissuti, i parenti, i volontari, che si concentra la seconda parte del documentario, montato certamente con notevole lavoro da Francesca Sofia Allegra, Davide Minotti e Sara Fgaier. Raccontare i propri cari vittime del virus, sfogare i propri sensi di colpa per un abbandono forzato o soltanto per avercela fatta, esprimere rabbia e frustrazione per l’assurdità di non poter nemmeno dire addio o partecipare ad un funerale, contro il semplicistico “ritorniamo alla normalità” delle autorità politiche. Livelli diversi di consapevolezza e di elaborazione del lutto che diventa collettivo sul prato di un antico bastione della cinta muraria di Bergamo. “Mi piacerebbe ridare umanità a tutti quei numeri,” dice Roberta, una volontaria molto impegnata, titolare di un’impresa funebre della città.

Savona riesce a dare unità allo sguardo di otto filmmaker, una pratica collettiva sperimentata nel corso dei tre anni alla scuola di documentario. E lo fa con il giusto distacco antiretorico che questo materiale richiede, e mantenendo una distanza fisica che mostra il rispetto della macchina da presa. Qualche spettatore potrebbe sentirsi travolto da tanta emotività e dall’ascolto di tante storie di morte nei ben 136 minuti del film. Ma sono storie, come quella del medico di base ucciso dal virus per non aver abbandonato i proprio pazienti, che meritano di rimanere incise nella memoria.

Le mura di Bergamo è una produzione Iervolino & Lady Bacardi Entertainment con Rai Cinema. La distribuzione italiana è di Fandango, i diritti internazionali sono gestiti da Fandango Sales.

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