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FILM / RECENSIONI Italia

Recensione: La memoria del mondo

di 

- Il tempo, i ricordi, la nostalgia sono al centro del quarto lungometraggio di Mirko Locatelli, visivamente superbo ma dalla narrazione fredda

Recensione: La memoria del mondo
Fabrizio Falco e Maurizio Soldà in La memoria del mondo

Un anziano artista tedesco, Ernst Bollinger (Maurizio Soldà), viene raggiunto dalla moglie Helena (Tiina Helina Hallikainen) in un hangar-museo in una zona lagunare del nord-est italiano, dove sta allestendo quella che sarà la sua ultima opera. Accompagnata da Adrien (Fabrizio Falco), un giovane scrittore che sta scrivendo la biografia di Bollinger, Helena scompare improvvisamente. Questo è lo scenario da cui parte La memoria del mondo [+leggi anche:
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, la quarta singolare opera del regista milanese Mirko Locatelli che arriva nelle sale italiane dal 2 marzo, distribuito da Officina Film, dopo il passaggio nella sezione Nuovi Mondi del 40° Torino Film Festival.

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La storia viene narrata in prima persona dallo scrittore che vediamo incidere le sue idee su un registratore con una prosa un po’ enfatica e nonostante la giovane età di Adrien, per niente attuale, come fosse sospesa nel tempo. Il tempo, i ricordi, la nostalgia sono appunto al centro della riflessione del film. Bollinger è ossessionato da un luogo della sua infanzia in cui giocava durante le vacanze estive. È un borgo ormai sommerso dall’acqua e l’artista si fa condurre in perlustrazione nei dintorni da un giovane del luogo, Giulio (Fabrizio Calfapietra), che guida una barca a motore. Lo stesso Adrien riflette sul passato e in una scena emblematica lo vediamo ritornare bambino.

L’aspetto visivo del film è di una magnifica imperturbabilità, con le autostrade acquatiche superbamente riprese da Paolo Rapalino in HD 4K in diversi momenti di luce naturale (comprese alcune difficili riprese in notturna), ispirati ai paesaggi della pittura naturalista italiana tra ‘800 e ‘900 e in cui l’atmosfera melmosa viene riprodotta con sfumature di grigio e blu. Gli inserti con la soggettiva della vecchia cinepresa di Bollinger sono invece girati in Super 8. Il suono in presa diretta di Mirko Guerra e Sonia Portoghese riporta lo stridìo degli uccelli e il ronzio dei motori delle barche che scivolano sull’acqua, sopra al silenzio della laguna (il film è stato girato nelle riserve naturali della foce del fiume Isonzo - Isola della Cona e della Valle Cavanata).  Lo score del film ha un ruolo rilevante nel film: gli archi ariosi del compositore Marco Robino, rifacendosi al barocco settecentesco, esaltano la malinconia della natura e quella che caratterizza tutti i protagonisti. Apprezzabile anche l’impegno di regista e scenografe (Luigina Tusini, Elisabetta Ferrandino) nell’installazione artistica del sotto finale.

Locatelli dimostra dunque di aver esteso il suo potenziale espressivo. Sulla sceneggiatura, firmata dal regista con Giuditta Tarantelli, ci dichiariamo però più confusi. Lo sviluppo narrativo è semplice quanto metaforico. Alla ricerca del paese sommerso e della donna scomparsa, i tre personaggi rimangono bloccati in mezzo alla laguna a causa di un’avaria del motore della barca di Giulio. La natura e la notte li avvolge, il freddo si fa pungente e nel buio intravedono una processione di migranti che, come silenziosi fantasmi, si dirigono verso una meta imprecisata. I tre stanno quindi vivendo le stesse condizioni di straniamento di un essere umano in fuga, ma il tema dei migranti non viene approfondita nel film ma lasciato volutamente nella nebbia L’erudito Adrian citerà il Bosco sacro del pittore svizzero Arnold Böcklin ma soprattutto quel “Wanderer Wanderung” del grande immaginario romantico tedesco. Riferimenti colti espressi con un certo auto-appagamento, che raffreddano e intorpidiscono la narrazione e che saranno ricevuti soltanto da una porzione di pubblico.

Il film è prodotto da Strani Film con Rai Cinema.

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