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Pupi Avati: "Arrivare alla gente"

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Un regista alla testa di Cinecittà. Pupi Avati, che succede a Felice Laudadio alla presidenza della Holding del cinema, rivendica il suo curriculum di autore. Ma il cineasta lascia il passo al nuovo impegno.“Questi sono mesi di fuoco, occorre impostare il lavoro, la Holding è una testa pensante, il corpo sono le varie società collegate, dall’Istituto Luce, che distribuisce film, a Italia Cinema, che li promuove all’estero”. Su Italia Cinema, in particolare, fa riflessioni lusinghiere: “finora ha svolto un ruolo esplorativo, ora può realizzare risultati concreti di visibilità, i tempi sono maturi per la raccolta”.

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La globalizzazione fa paura?
Non ho pregiudizi e non voglio attaccarmi ai luoghi comuni. Ma vedo una perdita d’identità generalizzata. La prima domanda che ho posto arrivando a Cinecittà è stata “di cosa parliamo quando parliamo di cinema italiano?”.

Già, di cosa parliamo?
C’è un cinema anni ’70, ideologizzato e d’autore, che ha fatto di tutto per svuotare le sale; c’è un cinema che cerca di orecchiare l’America con meno soldi e meno mezzi; poi c’è un cinema che è testimone della nostra identità ma al tempo stesso preoccupato di ristabilire un rapporto con il pubblico. Il nostro cinema certe tecnologie non le ha nel DNA, noi siamo più legati all’indagine sugli esseri umani. Ma abbiamo perso terreno: bisogna produrre un’inversione di tendenza e immaginare un prodotto popolare, che piaccia al pubblico. Anche se i miei colleghi non vogliono ammetterlo, in questo mestiere ci si sporcano le mani col denaro. Un budget da tre miliardi misura un immaginario da tre miliardi...

Il cinema italiano non si sente un’industria. E forse non lo è.
Non lo è, ma potrebbe recuperare quella dimensione che aveva in passato. Oggi ognuno è il genere di se stesso: Moretti, Olmi, Amelio. Si sono cancellati i generi, che sono fondamentali, e si è fatto di tutto per distruggere lo star system, perché l’attore offusca l’autore. Personaggi come Sordi erano mediatori delle idee degli sceneggiatori e dei registi verso il pubblico.

In questo quadro, non consolante, come si inserisce la Holding?
Il documento d’indirizzo del ministro contiene, a mio avviso, un punto chiave: ridare spazio, ruolo e visibilità al cinema italiano nel mondo. Ma per fare questo bisogna prima che il nostro cinema torni ad avere un rapporto fiduciario con il popolo italiano. Non si può esportare un prodotto che è stato rifiutato nel proprio paese.

Cosa rimprovera ai suoi predecessori?
Niente, hanno lavorato bene. Però in modo autoreferenziale, parlando solo a chi fa cinema. Noi dobbiamo arrivare alla gente.

Come?
Con strumenti di ogni tipo. Compresi gli sms.

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