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FILM / RECENSIONI

Ça rend heureux

di 

- Il film su un film prodotto con sogni che diventano mezzi. Il ritorno di un regista audace, per il quale filmare sembra essenziale come esistere

C’è una scena in Ça rend heureux [+leggi anche:
trailer
intervista: Fabrizio Rongione
intervista: Joachim Lafosse
scheda film
]
in cui il personaggio di Kris Cuppens si lamenta di Joachim, scusate, di Fabrice, che ha deciso di "unire" tutte le piccole storie della sua vita nella sceneggiatura del suo nuovo film. Ci troverà le difficoltà di essere regista di formazione, e disoccupato di professione, Bruxelles come luogo d’incontro solidale tra francofoni e fiamminghi, il fallimento di una relazione, la nascita di un nuovo amore, e la voglia (più grande della razionalità) di fare un nuovo film… Questi frammenti di storie si incrociano e si mescolano ironicamente in una sceneggiatura che invade, forse pericolosamente, la vita privata di quelli che decidono di partecipare amichevolmente alle riprese del film. Perché? Mettendo da parte l’ipotesi della terapia (che Fabrice, regista del film, respinge empaticamente davanti alla troupe), resta l'interrogativo se è l’arte a imitare la vita o la vita a imitare l’arte.

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Ça rend heureux spinge la curiosità verso le frontiere che separano realtà e finzione, ma non cede alla tentazione di dare una risposta. E lì risiede il suo elemento più deliziosamente manipolatore. Lafosse sembra aver trovato il piacere di confondere le piste e lo esprime con grande humour. Una scelta inattesa, soprattutto per chi aveva già visto il suo precedente Folie Privée (film il cui manifesto appare più volte sullo schermo in Ça rend heureux). Mentre in Folie una messa in scena febbrile sembrava condannare, sin dall’inizio, tutti i personaggi, in Ça rend heureux regna una speranza luminosa. Nel film c’è un tono leggero che persiste, nonostante i momenti più tesi e isterici dell’intreccio. Nell’angoscia, si ricicla la convinzione che le riprese del film non debbano e non si possano fermare. È chiaro che, per Joachim, più che per il suo (falso) alter ego Fabrice, e le loro rispettive equipe, il fine giustifichi i mezzi. E noi arriviamo quasi a crederci.

Sul versante delle interpretazioni, il film ci rende felici, in particolare Fabrice Rongione, che incarna con precisione le contraddizioni di un regista alla ricerca della sua arte e di se stesso, ed una stupefacente Catherine Salée, in perpetua oscillazione tra collera e incredulità. Anche Mariet, la giovane cameriera fiamminga che riconosce di non aver mai recitato nella vita (ma che avrà uno dei ruoli principali nel film), ne esce assai bene, fingendo di non saper recitare (sa veramente farlo?). La scena sulla palco delle riprese, che oppone regista e resto del cast, e culmina con l’espulsione dell’"attrice", è tra le più riuscite del film. Ci si trova un equilibrio solido tra ironia della situazione e le conseguenze devastanti che una simile decisione può portare al film. Ma forse niente sarà più devastante del vuoto dell’inattività, e si potrà trovare una nuova soluzione.

Mariet esce dunque dal cast ma non scompare dall’intreccio. D'altronde le è dedicata l’ultima inquadratura del film, come un’ultima pista di ciò che già si sospettava: Ça rend heureux, un film su un film, è anche il resoconto di una storia d’amore. Ma sembra però trattarsi di un amore non concretizzato. Al contrario delle altre storie della sceneggiatura, presentate con qualche pudore, la relazione tra Fabrizio e Mariet resta nel dominio della suggestione, ma la si sente incastrata tra il fantasma che la nutre ed il violento confronto con i propri limiti. La vera storia d’amore riuscita di questo film è quella di un cineasta per la sua arte, e della sua capacità di far innamorare la sua troupe e il suo pubblico.

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(Tradotto dal francese)

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