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FESTIVAL Italia

Elvis contro l’industria inglese

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Si chiude la Mostra Internazionale del Nuovo Cinema di Pesaro, che laurea il messicano Familia tortuga miglior film del concorso intitolato al fondatore del festival, Lino Micciché. Niente riconoscimenti, invece, per Anna M. [+leggi anche:
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e Elvis Pelvis, entrambi già visti all’ultima Berlinale, l’uno in Panorama e l’altro al Forum.

Molta attenzione per Elvis Pelvis, ma soprattutto per il regista Kevin Aduaka, ospite del festival: nigeriano, classe 1972, dal ’93 vive in Inghilterra, dove ha studiato fotografia e cinema. E dove esordisce, prodotto da Love Streams agnès b. Productions (che ne cura anche le vendite internazionali) e d2e Pictures, con questo film dettato dalla “rabbia nei confronti dell’industria cinematografica inglese, sempre più allineata alle formule hollywoodiane”. Diviso in due parti, The suite e The Messiah, la prima sui rapporti di forza tra il genitore che ama Elvis e il figlio costretto a indossarne il costume, la seconda sulla solitudine e la redenzione, il film vuole accordare il proprio ritmo alla diversa temperie emotiva degli episodi: il caos frenetico della prevaricazione, e il pathos pacato di un umanesimo riconciliante.

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Nelle intenzioni di Aduaka, “la proposta di un nuovo cinema”, e il tentativo di ragionare sul colonialismo culturale degli USA, attraverso le icone di Elvis e Jimi Hendrix. Ma è soprattutto John Cassavates, il new american cinema, il jazz di Miles Davis, a colonizzare l’immaginario di Elvis Pelvis: ne esce una jam session parzialmente improvvisata (“mi piace l’improvvisazione, l’imprevedibilità, la crudezza, il Neorealismo; non mi piace la pulizia”), bizzarra (ma non nuova) nella forma. E piuttosto velleitaria nella sostanza.

Applausi convinti, invece, alla proiezione in piazza di Anna M. di Michel Spinosa (leggi le news e l’intervista). Dominato dall’interpretazione di Isabelle Carré, rovescia l’umorismo del precedente Parenthèse enchantée nel clima torbido di un’ossessione amorosa a senso unico. Che ricorda, per patologica intensità, Ça brûle [+leggi anche:
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di Claire Simon. Ma senza la statura tragica del precedente, nonostante la prova della Carré, sottile e credibile. Lo squilibrato equilibrio tra sentimento e pazzia, di chi crede di vivere una commedia romantica e sprofonda gli altri nel thriller, le riesce meglio che alla Audrey Tautou di À la folie... pas du tout. Ma non regge i troppi finali del film.

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