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Ritratto 2 - Alina Marazzi

di 

- Portrait 2 - Alina Marazzi

Alina Marazzi ha alle spalle una filmografia di circa dieci documentari ma è quasi impossibile non identificarla con un unico film - Un’ora sola ti vorrei - che proprio da Torino, nel 2002, ha iniziato il suo percorso di successo, ottenendo un meritatissimo primo premio e facendo conoscere la sua figura in Italia e all’estero.

Il film, frutto di una ricerca personale della regista, è l’esplorazione della figura della propria madre attraverso il ricco archivio di famiglia (Super8, diari, lettere e foto). Ma Alina ha iniziato la sua carriera cinematografica ben prima di questo spartiacque personale e pubblico, che indubbiamente influisce sulle aspettative verso i suoi lavori, realizzando diversi documentari televisivi e a carattere sociale. La sua formazione non si limita al documentario comprendendo esperienze di aiuto regia per diversi registi del cinema italiano (principalmente Giuseppe Piccioni) e altri lavori legati al cinema sperimentale, alla video arte negli anni di collaborazione con Studio Azzurro e Fabrica sotto la direzione di Godfrey Reggio.

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Sono passati cinque anni dal premio a Torino e Alina torna, con Vogliamo anche le rose [+leggi anche:
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scheda film
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, nella sezione fuori concorso in compagnia di Fabrizio Bentivoglio, Wilma Labate, Francesca Comencini e Peter Del Monte.Questa sarà l’Anteprima italiana. È stata presentata recentamente al festival di Locarno, che le ha offerto la proiezione del film in Piazza Grande, uno dei cinema all’aperto più grandi del mondo.
Un segnale del grande riconoscimento di critica e di pubblico e una conquista, non solo per il documentario, ma per l’intero cinema italiano. La posizione raggiunta le consente del resto opportunità produttive e distributive ancora piuttosto singolari nel panorama del documentario italiano.

Vogliamo anche le rose è un ritorno alla cifra stilistica che meglio la rappresenta: l’elaborazione autoriale del materiale d’archivio (il suo film ha il merito di aver risvegliato in Italia il fascino del Super8) e prosegue a livello di contenuti la sua esplorazione nel mondo delle donne iniziata nel 2002, in quella che a tutti gli effetti si può definire la seconda fase della sua carriera.
Dopo il commuovente ritratto della propria madre (Un’ora sola ti vorrei) e la difficile fotografia della vita monacale (Per sempre), Alina si confronta con un lavoro dal respiro più storico per raccontare l’emancipazione delle donne in Italia tra gli anni ’60 e ’70, continuando però ad affidarsi alla guida di diari, lettere e di storie che compongono il fil rouge del film.

Nel 2005 con Per sempre (passato a sua volta dal concorso doc del TFF) ha sfidato le aspettative e le pretese del pubblico e della critica confrontandosi con un soggetto quasi impenetrabile. Il film, non ha lasciato il segno come il precedente, ma rappresenta un esempio di onestà documentaristica. L’impossibilità di raccontare fino in fondo la vita delle suore di clausura e la distanza incolmabile tra loro e la regista ha di per sé restituito la soggettività come vero valore del cinema documentario.

Le donne nella loro complessa mescolanza di coraggio, fragilità e orgoglio continuano dunque a rimanere al centro della sua ricerca, che pur allontanandosi gradualmente dal suo vissuto personale (e non potrebbe essere altrimenti, Un’ora sola ti vorrei è un film unico e a sé stante) continuano a rivelare qualcosa di lei e a fornircene un ritratto. E in questo raccontare contemporaneamente crisi e celebrazione della donna nelle diverse ma intrecciate cornici dei suoi film (borghesia italiana, benessere e ipocrisia dell’Italia che cambia, tradizione cattolica) sembrerebbe celarsi l’eredità delle atmosfere antonioniane, in una sorta di trilogia dei sentimenti in forma di documentario.

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